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domenica 16 giugno 2019

IL PING PONG DELLA SEDUTA


Molto tempo fa, presentando in una supervisione in gruppo, la narrazione di una seduta nella quale c’era una botta e risposta continua tra me e il paziente, il supervisore (un’analista importante della Società), mi disse che io ero entrato in un gioco ripetitivo tipo ping pong nel quale, se non riuscivo a sottrarmi, il trattamento sarebbe stato condannato ad un’impasse eterna. Poi questo commento scatenò le critiche al mio riguardo degli altri, giovani come me, partecipanti (le supervisioni di gruppo sono spesso un gioco al massacro,a scapito del malcapitato protagonista). Dovetti riconoscere che stavo facendo uno sbaglio e probabilmente, non mi ricordo più, nelle sedute seguenti, forzai il discorso con il paziente, cercando di interpretare come” negativa” ( difensiva) questa procedura che si era instaurata tra noi.
Ma nel tempo mi è venuto qualche dubbio. Forse avrei dovuto riflettere (ma quando si è alle prime armi questa è una qualità rara), che quello del ping pong era forse ,in quel momento, l’unica possibilità che il decorso del trattamento poteva permettere. Cioè è come dire che esiste una specificità del momento-seduta (definiamolo così) nel quale viene adottato un’unica modalità, magari ripetitiva, che permette un proseguimento del trattamento. Il cercare di interrompere tale modalità, sposta la situazione in un altro scenario e bisogna prendere altre strade. In altre parole, sto rivolgendo l’attenzione dal contenuto alla forma di un procedimento. Un inquisitore psicoanalitico (lo siamo stati un po’ tutti), mi accuserebbe di eresia : abbandonare la “bellezza” di inseguire i contenuti, magari simbolici e metaforici, per osservare come si svolge l’itinerario nel quale sono inseriti questi contenuti, può far pensare ad un approccio che richiama certi principi (anche qui mal esplicati e tanto meno applicati) del cognitivismo e cioè che noi,aldilà di quell’enorme patrimonio di contenuti mnestici più o,soprattutto meno,consapevolizzati, siamo all’interno, nella psichicità, di strutture procedurali che richiamano (anche questa può essere un’eresia) la fitta rete di connessioni neurologiche.
Forse non è più i contenuti che dobbiamo inseguire, bensì le modalità con le quali si presentano, negli interventi del paziente e nelle risposte dell’analista. E questo può anche uscire dalla seduta ed essere presente nella relazionalità reale o fantasticata con altri.